In data 5 ottobre 2023, appena due giorni prima della terribile recrudescenza dello scontro israelo-palestinese, numerosi membri dell’associazione si sono incontrati online, e il Presidente dell’Associazione Culturale senza fini di Orizzonte Green, Ing. Marco Bresci, ha voluto condividere una stimolante presentazione sullo stato attuale delle questioni ambientali e politiche mondiali, riflettendo sul ruolo delle associazioni come la nostra nell’influenzare la traiettoria della civiltà. Ne è nato un dibattito molto acceso, tanto che non sarà possibile fare un riepilogo dei temi trattati in un solo articolo. Di conseguenza, prossimamente si avvicenderanno alcuni articoli “a puntate” per cercare di riproporre ai lettori del blog i delicatissimi temi che sono stati affrontati in quella sede, riletti anche dopo un mese e mezzo di combattimenti in Medio Oriente (senza però dimenticare il conflitto russo-ucraino, quasi relegato in uno sfondo indefinito).
Un mondo migliore
Da decenni, se non da secoli, ciclicamente si verificano contingenze per cui la letteratura, e più in generale la Cultura, iniziano ad abbondare di produzioni in cui echeggia una domanda che tormenta l’umanità da generazioni: è possibile costruire un mondo migliore? Già il fatto che questa domanda continui a ripresentarsi ciclicamente è simbolo emblematico della condizione umana, per cui c’è sempre qualcuno che percepisce che c’è qualcosa che non va, o perché ne è testimone sensibile pur non essendo coinvolto, o perché vive in prima persona drammi terribili.
La risposta alla domanda è che si può, ma sicuramente non attraverso “risposte facili”, spesso pubblicizzate attraverso slogan accattivanti, ma, se analizzati accuratamente, fondamentalmente vuoti. La costruzione di un mondo migliore richiede piuttosto uno sforzo attivo, capace di credere alla possibilità di partire dal mondo che abbiamo, che è anche l’unico. Questa locuzione “sforzo attivo” racchiude in sé una miriade di concetti, tra cui l’impegno individuale, l’azione sociale, una continua e costante collaborazione con gli altri.
Da storie individuali esemplari…
Un esempio recente di personalità che si è opposta alle risposte facili è quello di Carola Rackete, che nel giugno 2019 ha sfidato i divieti delle autorità per portare in salvo i migranti presi a bordo della Sea-Watch 3, diventando un simbolo globale di coraggio, giustizia e fedeltà ai propri ideali. Come sappiamo, questo “scontro” ha avuto importanti ripercussioni sull’azione di governo (governo Conte I), con polarizzazioni impressionanti sul tema dell’immigrazione, fino alla recente proposta del blocco navale totale del Mediterraneo, che, oltre a rappresentare un atto di guerra, non è realizzabile, conti alla mano, nemmeno invocando tutte le risorse della totalità delle forze navali di tutti i paesi dell’Unione Europea (e forse nemmeno invocandone la totalità mondiale).
Carola Rackete ha anche pubblicato un libro-manifesto, intitolato “Il mondo che vogliamo”, in cui si è spinta oltre, collegando la questione dell’immigrazione alla questione ambientale: “la storia del nostro Pianeta ha raggiunto un punto di svolta: gli ecosistemi vengono distrutti, il sistema climatico sta crollando, e se non proteggiamo i diritti di altri esseri umani, anche i nostri diritti saranno presto in pericolo.”.
…a storie collettive
Carola Rackete rappresenta un esempio di individuo inserito all’interno di realtà collettive molto impegnate a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della difesa dei diritti dell’uomo (infatti, i proventi del suo libro-manifesto sono devoluti all’associazione “borderline-europe – Menschenrechte ohne Grenzen e.V.” che si batte per i diritti dei profughi e che, con il suo lavoro, si oppone anche alla generale criminalizzazione di coloro che li aiutano), ma anche l’importanza della difesa dell’ambiente. Tra queste ultime realtà, spiccano i movimenti ambientalisti Extinction Rebellion e Greenpeace, che spesso ricorrono ad azioni eclatanti per pubblicizzare le loro proteste.
Anche Greta Thunberg ha generato un fenomeno globale conosciuto come Fridays for Future. Il moltiplicarsi di simili realtà, e soprattutto il moltiplicarsi delle azioni eclatanti, rappresentano sì un segno di consapevolezza, ma sono anche un segno di malessere, di disagio, di ribellione dei giovani.
Tuttavia, pur condividendo i valori di questi movimenti, è lecito chiedersi se certi tipi di manifestazione siano legittimi, o quantomeno utili.
Alcune considerazioni
Consideriamo Extinction Rebellion: la parola “ribellione” non rappresenta forse troppo esplicitamente un incitamento alla violenza (per quanto è opportuno precisare che questi movimenti hanno sempre carattere non violento)? Tornano alla mente le conferenze stampa durante i momenti più bui della pandemia, in cui non si faceva altro che parlare di “guerra al virus”, perché evidentemente la nostra società dà per scontato che la guerra sia una componente intrinseca e ineliminabile della natura umana. Pochi hanno compreso che la pandemia non è stata altro che una delle numerose conseguenze di un sistema che non rispetta l’ordine naturale (si veda a tal proposito il saggio “Spillover” di David Quammen). Attraverso un’analisi più approfondita, forse si potrebbe arrivare alla conclusione che anche la guerra rappresenta uno sconvolgimento dell’armonia naturale, ma alcuni potrebbero obiettare che fin dai primordi, la natura evolve favorendo alcuni fenomeni rispetto ad altri, in un inesorabile susseguirsi di eventi in cui l’adatto ha il sopravvento sul resto. Ma chi ha stabilito che “adatto” sia “giusto”? Come specie che inizia a comprendere la propria traiettoria, non dovremmo forse impegnarci a rendere “adatto” qualcosa che è “giusto”?[i]
Analizziamo anche il movimento “Fridays for Future”. Il nome iniziale era “Skolstrejk för klimatet”, cioè “sciopero scolastico per il clima”, scritto a grandi lettere sul cartello che Greta Thunberg mostrava nelle sue azioni di protesta seduta davanti al Riksdag, il parlamento nazionale del Regno di Svezia. Ebbene, lo strumento dello sciopero si concilia con l’importanza dello studio? Perché non usare un giorno come il sabato o la domenica, coinvolgendo più persone? Conta farsi notare, anche se questo implica disturbare, oppure è meglio coinvolgere? È giusto sacrificare lo studio per protestare? Forse avrebbe più senso boicottare un giorno di scuola se si volesse protestare per comunicare che non si è d’accordo con i valori che vengono trasmessi a scuola… E anche qui si aprirebbe un capitolo gigantesco: a scuola si insegna a diventare dei lavoratori o dei pensatori?
Infine, la domanda più importante e provocatoria: la frammentazione dell’azione sociale in una moltitudine di enti non è forse una tendenza dispersiva? Sembra quasi che il baratro ambientale/sociale/climatico verso cui ci stiamo avvicinando sia munito di sistemi di controllo che impediscono all’azione sociale di opporsi al raggiungimento del baratro stesso, in un perverso meccanismo di “divide et impera” per cui anche le migliori intenzioni, che vorrebbero puntare nella stessa direzione, finiscono per annichilirsi reciprocamente. Il rischio che anche per i movimenti/enti ambientalisti prevalga la pulsione ad agire da soli con attenzione rivolta solo a sé – come molti partiti – è altissimo, e questa è una dinamica che dobbiamo impegnarci a disinnescare.
Nella prossima puntata analizzeremo più in dettaglio questa tendenza, e proporremo alcune soluzioni per evitare di cadere in questa trappola.
Simone Potenti
[Continua seconda parte]
[i] Per chi volesse approfondire il tema della vita nell’universo, con particolare riferimento alla capacità di una forma di vita intelligente di comprendere la propria “traiettoria”, si suggerisce la lettura dei seguenti articoli scientifici: